Nuovi obiettivi della zootecnia e uno sguardo al passato
Su Professione Allevatore un articolo di Fiorenzo Piccioli Cappelli, ricercatore Diana e Cerzoo
Ogni tanto è necessario fare un bilancio per capire dove si sta andando e se la direzione intrapresa sia giusta, a maggior ragione in questi anni nei quali arrivano tante sollecitazioni dalla comunità civile preoccupata della sostenibilità delle proprie azioni. L’allevamento degli animali domestici e dei ruminanti in particolare è oggetto di molte discussioni. I sistemi di allevamento attuali sono criticati perché intensivi, quindi ritenuti non rispettosi del benessere animale, inquinanti per le emissioni di gas serra come il metano o il rilascio di ammoniaca nell’aria o nitrati nelle acque, e capaci di alterare la salute umana per le loro produzioni non salubri. Vale dunque la pena di chiedersi se “siamo davvero in una condizione fuori controllo”. Uno sguardo al passato ci può aiutare a capire. Intorno al 1980 in Italia erano allevati quasi 9 milioni di bovini, di cui circa 2,5 milioni di vacche da latte. La produzione di latte annua era di circa 5.800 kg/capo, con un contenuto del 3,54% di grasso e del 3,14% di proteine. Oggi alleviamo circa 5,5 milioni di bovini e 1,6 milioni di vacche da latte, che producono mediamente 10.879 kg/anno, con un contenuto del 3,87% di grasso e 3,36% di proteine. In sostanza produciamo il 20% in più di latte con il 63% in meno di vacche da latte. L’efficienza produttiva è quasi raddoppiata e pure la qualità nutrizionale è significativamente migliorata. Anche la sostenibilità ambientale è nettamente migliorata con cali delle emissioni di gas serra che superano il 50% nello stesso periodo. Il risultato è frutto dell’innovazione dell’intero comparto zootecnico, dal miglioramento genetico alle strutture e alle attrezzature, dalla gestione sanitaria all’alimentazione. Eppure, la sensibilità popolare è più preoccupata e molte associazioni reclamano la riduzione degli allevamenti. All’inizio degli anni ’80 gli edifici erano in pieno rinnovamento e nel nord Italia si costruivano le “stalle all’aperto” più spaziose, con bovine libere, su cuccette o lettiera e con paddock esterni. Gradualmente venivano abbondonate le stalle con vacche legate, ma ancora molti conoscevano per nome tutte le vacche presenti. Era sempre più diffusa la mungitura nelle sale anziché essere eseguita alla posta, con un netto miglioramento della qualità di vita dei mungitori, dell’efficienza delle procedure e della qualità igienica del latte. La presenza della sala si è accompagnata all’introduzione del frigorifero, che ha progressivamente soppiantato la pratica dei bidoni non refrigerati, la cui gestione richiedeva un importante contributo manuale dei lavoratori. La gestione alimentare delle bovine era ancora sostanzialmente tradizionale, con la somministrazione frazionata degli alimenti: foraggi e concentrati. Tuttavia, si stava evolvendo la pratica dell’insilamento dei foraggi, specie del mais, passando dai sili verticali alle “trincee” orizzontali, più agevoli da riempire e con indubbio vantaggio sulla tempistica di raccolta. Dal punto di vista nutrizionale ciò ha consentito di aumentare l’apporto di carboidrati fermentescibili alle bovine, anche se sono comparse nuove problematiche per l’eccessivo impiego. Tra le nuove tecnologie compare il “piatto unico” (unifeed), strategia alimentare che ha permesso di modificare significativamente l’organizzazione dell’allevamento e che si è gradualmente diffusa in tutte le produzioni tipiche, anche quelle più restie a cambiare i propri disciplinari produttivi. Ci sono però voluti anni di impiego per ottimizzare la tecnologia, con l’introduzione della bilancia per pesare ogni ingrediente, che permetteva di tradurre la dieta teorica in una formulazione ripetibile, e la comprensione di come eseguire la corretta trinciatura della fibra, per garantire I'adeguato apporto di fibra fisicamente efficace. L’introduzione delle nuove tecnologie ha aperto un complesso dibattito tra produttori e trasformatori, per comprendere la loro compatibilità con le procedure di produzione tradizionali dei formaggi tipici. Il monitoraggio degli animali era frutto dell’esperienza, dello spirito di osservazione e del buon senso dell’allevatore, che chiamava il veterinario in caso di reale necessita. Termini come benessere animale e sostenibilità non appartenevano al lessico del mondo agricolo, anche se stavano emergendo alcune problematiche relativamente alla gestione dei liquami e alla presenza di nitrati nelle falde. L’inseminazione avveniva ancora in gran parte con monta naturale (oltre il 60%) e le nuove stalle prevedevano appositi box per ospitare i riproduttori e le fasi di monta. Tuttavia, la pratica dell’inseminazione artificiale si stava diffondendo in tutti gli allevamenti per i vantaggi in termini di miglioramento genetico e sicurezza sul lavoro. La dimensione delle mandrie odierna è aumentata significativamente; infatti, la consistenza media di bovine da latte è cresciuta da 12 a 65 capi per allevamento dal 1980 ad oggi. Ormai quasi nessuno conosce per nome le sue vacche, ma grazie alla Precision Livestock Farming (PLF) i bravi allevatori riconoscono ugualmente ogni soggetto della loro popolazione grazie all’uso di sensori. Oggi esiste un monitoraggio individuale in tempo reale che restituisce una molteplicità di informazioni (ad esempio attività motoria, ruminazione, produzione del latte, curva di eiezione e qualità del latte, ecc.), inclusi allarmi in presenza di condizioni fisiologiche alterate. Questi strumenti consentono dunque di intervenire tempestivamente con le cure più adeguate, specialmente nel periodo di transizione, la fase che necessita le maggiori attenzioni. La PLF ha modificato profondamente l’organizzazione delle aziende in tutti i settori. Alimentazione e mungitura sono state progressivamente automatizzate, tanto che oggi un quarto delle aziende ha robotizzato almeno uno dei due processi, riducendo i lavori ripetitivi a cui erano relegati alcuni operatori. Le macchine consentono, sotto l’occhio vigile di tecnici sempre più specializzati, di eseguire le operazioni con precisione, migliorando il livello del benessere animale. La robotizzazione della dieta consente di offrire razioni più aderenti alla formula teorica e garantisce la presenza costante della razione in mangiatoia. I sistemi più avanzati sono in grado di valutare la sua composizione chimico-nutrizionale al momento della preparazione, permettendo effettivamente una “alimentazione di precisione”. La mungitura robotizzata è in accelerata espansione negli allevamenti sia di piccole che di grandi dimensioni, non solo perché ha ridotto l'impiego di manodopera, ma anche perché ha alleggerito il lavoro umano e ha ampliato la conoscenza delle condizioni fisiologiche delle bovine, dato che a ogni mungitura sono misurati molti parametri utili a valutare il loro stato di salute. In entrambi i casi, si può affermare che le innovazioni solo solamente agli inizi. Le stalle sono state profondamente modificate, spesso ricostruite, secondo nuovi criteri architettonici e funzionali. Sono più alte, luminose, areate e spaziose, realizzate con materiali riutilizzabili, dotate di pannelli fotovoltaici per produrre energia da usare nei vari processi aziendali. Gli spazi per capo sono aumentati per consentire agli animali di esprimere il proprio comportamento e vivere in tranquillità nelle diverse fasi di vita (alimentazione, riposo, mungitura). Sono strutture dotate di impianti di ventilazione e climatizzazione che realmente attenuano lo stress da caldo delle nostre estati sempre più afose e sono gestiti in modo automatico in relazione alle variazioni delle condizioni climatiche interne. Gli abbeveratoi sono abbondanti e facili da igienizzare. Anche la pulizia delle corsie e delle zone di riposo (cuccette o lettiere) è spesso accompagnata da dispositivi automatici o perlomeno meccanizzata. Nel complesso tutte queste innovazioni hanno innalzato il livello del benessere animale, anche se persistono differenze tra i vari allevamenti, in virtù sia delle competenze di allevatori e tecnici, che della corretta gestione delle varie fasi di vita in un sistema assai articolato. Oltre a ciò, la gestione delle deiezioni è sempre più sostenibile e prevede biodigestori, separazione della parte solida e liquida, copertura dei vasconi, talora trattamento delle deiezioni per ridurre le emissioni di ammoniaca. Questo ambito è in rapida evoluzione per le sollecitazioni della società che invoca maggiori sforzi per la riduzione dei gas a effetto serra (metano in primis) e ammoniaca (cofattore nella produzione del particolato fine presente nell’aria). In 40 anni le aziende sono profondamente cambiate e in meglio. Gli imprenditori che non lo hanno fatto sono destinati a scomparire nei prossimi 5-10 anni, con un'ulteriore contrazione del numero di allevamenti. Sebbene il cittadino medio sia investito da venti nostalgici che insinuano il pensiero che “un tempo fosse meglio di oggi” dobbiamo constatare che non solo non è vero, ma che la zootecnia sta dando un contributo importante allo sviluppo umano: sempre più sostenibile è impegnata a sfamare una popolazione umana sempre più numerosa. In questo tempo gli imprenditori zootecnici si sono evoluti, tanto che non sono più semplici allevatori. Oltre a produrre latte e carne, alimenti essenziali per la vita umana, e aver cura dei propri animali e dei terreni necessari alle produzioni di foraggi di alta qualità hanno imparato che devono fare altro: produrre energia (metano, energia elettrica), ridurre le emissioni di gas climalteranti, essere efficienti per non sprecare risorse sempre più limitate (energia, acqua, fertilizzanti, suolo agricolo), avere curare dell’armonia del paesaggio. Per fare ciò servono alcuni ingredienti: grande passione; dedizione al proprio lavoro; capacità imprenditoriale per introdurre con competenza le nuove tecnologie secondo criteri di efficienza ed efficacia; team di lavoratori e tecnici più preparati e competenti. Giustamente l’attenzione di questa fase storica è rivolta alla sostenibilità ambientale, a cui agricoltura e zootecnia non possono sottrarsi. I risultati dimostrano che ciò sta avvenendo in modo rilevante, anche se la società non sembra accorgersene. Occorre continuare su questa strada, perché la ricerca scientifica e le tecnologie suggeriscono che possiamo fare meglio, come persone e come imprese. Il Net Zero (equilibrio tra la quantità di gas climalteranti prodotti e la quantità rimossa dall’atmosfera) è un obiettivo raggiungibile in agro-zootecnica, perché alcune coltivazioni — come prati pluriennali e pascoli — sono le uniche che possono sottrarre carbonio dall’atmosfera, producendo al contempo alimenti. La sfida è farlo mantenendo elevate le produzioni di cui l'umanità ha bisogno, migliorando allo stesso tempo il benessere dei lavoratori e degli animali.